martedì 26 maggio 2009

Il Minotauro va a Cortina – Sesta Parte



Il Minotauro va a Cortina – Sesta Parte

"Insonnolito ed in cerca di un letto arrivai da Est con il sole negli occhi. La maledissi una volta poi tirai dritto. Lei mi chiese: Dove sei stato? Io dissi: In nessun posto in particolare… - Sembri diverso… - Può essere - Sei stato via - Mi sembra chiaro - Resti? - Può darsi…" (Isis – Bob Dylan e Jacques Levy)

Di Melissa C

Le persone troppo nuove, simili a giocattoli mai usati, non riuscivano ad ingannare Altea, alla ricerca di una profondità di cui è capace solo chi ha dei peccati da scontare. Non la ingannavano le persone dal volto felice, abbronzate come giovani tronisti al sole alto di Cortina d’Ampezzo, un sole che prima o poi si rifiuterà di scaldarli, tanto per far questo ci sono già le lampade… E forse un giorno Apollo preferirà una grande lampada artificiale da portare sul suo carro, dimenticando il sole a casa… Altea non sopportò mai quei tipi di Cortina d’Ampezzo, pensando che ce ne fossero davvero tanti messi al posto delle facce e chiusi in stretti colletti da ragionieri sbarbati, con la ventiquattrore a portata di mano. Le loro facce non erano roba per Altea. Le uniche persone possibili per lei restavano i veri burattini arrugginiti, quelli che non pensano mai di poter vincere, anche se nel loro cuore continuano a combattere i mulini a vento.

Birra calda come sapone sciolto sulla lingua, impercettibili rughe sulla fronte. Demetrio sembrava diverso, cambiato, ma Altea vedeva i suoi occhi, quelli che il tempo non può aggredire, occhi scuri e lucidi di bambino, ancora aperti su un mondo mortalmente autentico. Bambini lo erano stati anche loro, con biglie colorate tra le dita e cestini in vimini che traboccavano di giocattoli. Quali erano i giochi di Altea? Non le piacevano i regali nuovi, impacchettati con il nastro rosso e le coccarde dorate… Ha sempre preferito quel burattino di legno bugiardo. Un burattino di legno con chiodi arrugginiti su braccia e gambe, incapace di muoversi. Non voleva giocattoli nuovi, e fu così anche con le persone che incontrò per la sua via… Portò con sé solo quelli vissuti ed usurati dal tempo, anche loro burattini arrugginiti, come Demetrio, reso folle da un equilibrio mai raggiunto, o come il Minotauro, che danzò sull’innocenza di Ismene.

Non bastava un po’ d’olio a far girare le viti ed i chiodi conficcati nel legno del corpo di Demetrio. Quella sua buffa aria imbronciata era un netto rifiuto di qualunque goccia d’olio che potesse rianimarne gli ingranaggi. Demetrio, come ogni burattino rimasto al buio in una soffitta dimenticata, non desiderava più muoversi, per paura di tornare a credere in qualcosa quando nuove mani, di un amico, di una donna o di un familiare, avrebbero potuto chiuderlo in un’altra soffitta. Era stanco di essere dimenticato, messo da parte come un compagno di giochi ormai superato dalle PlayStation o Nintendo Wii, che ormai impazzavano in ogni negozio di elettronica…

Il peggiore nemico di ogni uomo è se stesso, quando si flagella e si abbandona, con i legamenti di braccia e gambe ormai rotti, in un angolo di soffitta… Hai inflitto a te stesso la pena definitiva, decidendo di perdere la guerra sin dopo la prima battaglia, pur di non venire sconfitto in altri inevitabili scontri. In quella soffitta però non c’è più vita e quando i giorni si susseguono uguali, uno dopo l’altro, tu inizi lentamente a morire, pezzo per pezzo, lasciando che l’unico tempo possibile sia quello della straziante disperazione.

Se vedi una cosa, anche una piccola cosa, che ai tuoi occhi appare bella allora alzati, lubrifica gli ingranaggi con olio puro, e torna a camminare, perché nessuna sconfitta potrà farti più male di quella straziante disperazione. Nessun inganno potrà ferirti quanto il rumore dei silenzi che hai portato sulle tue spalle per troppo tempo. Prendi l’olio che ti serve, alzati ed inizia a camminare…

Demetrio si impadronì di quelle parole, dette dalla giovane Ismene, apparsa in sogno al nostro visionario stanco. Prese quelle parole, riempì le bisacce delle poche speranze che era riuscito a mettere da parte e si mise in cammino. Altea era dietro di lui, con passo lento, perché non voleva seguirlo né trattenerlo, semplicemente esserci se lui avesse voltato lo sguardo, chiedendo l’acqua della sua bisaccia. Il deserto era una distesa di sabbia gialla, ma quel colore caldo era un altro bagliore, qualcosa di buono da portare con sé e preservare dal buio. Demetrio guardò innanzi a sé, ma non si vedeva ancora l’orizzonte, solo sabbia, ovunque. Si può essere felici senza diventare folli? Se lo chiedeva ormai da giorni, mentre il fantasma di un poeta di nome Dino a volte lo accompagnava, narrandogli di quando mangiò la terra, senza sputarne via un granello e solo perché sapeva di vita.

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