domenica 24 maggio 2009

Il Minotauro scoprì l’ home theatre – Quarta Parte



Il Minotauro scoprì l’ home theatre – Quarta Parte

Di Melissa C.

Dimmi, in un mondo senza pietà, pensi che quello che sto chiedendo sia troppo?
Voglio solo qualcuno da stringere. Solo un po' di quel tocco umano (Bruce Springsteen)


Altea sfiora lo specchio della sua stanza e vede riflessa l’immagine della maga vissuta nella Colchide antica. La sacerdotessa di Ecate indossa una veste bianca e sottile, mentre mostra le mani macchiate di sangue, schiudendo le labbra in un ghigno folle.

Colui che cerchi ha viaggiato indietro nel tempo, inseguendo la rotta degli Argonauti ed il vello d’oro della riscossa. Non sapeva ancora che quelle chimere fossero alibi di lattice per preservarsi da un sentire puro. La vostra catarsi, Altea, non è fatta di lacrime e sangue, né di fiamme degli inferi. Ho già pagato io per la libertà dei posteri. Ho ucciso il frutto dell’amore con Giasone, per punire lui, falso eroe, uomo borghese, uomo-massa vinto dal fasto di luci fasulle. La catarsi per te e Demetrio ora è in un tocco umano, puro e caldo. Ciò che vi affido è la sacralità della vita, perché voi non cediate al dolore di una vuota solitudine.

Medea, vera vincitrice nella lotta tra passato e presente, tra buio e speranza, parla con voce flebile ad Altea e poi la sua immagine scompare, lasciando allo specchio il semplice compito di riflettere il presente. Altea raccoglie i suoi capelli, accarezzando la nuca sudata, e pensa al consiglio di Medea, pensa a quel tocco umano, puro e caldo. E immagina Demetrio perso nei suoi blues d’America Latina, in un posto da cui non salpano navi. Sembra impossibile raggiungerlo, ma esistono posti dove si arriva senza sapere come; esistono “NOWHERE” improvvisati, dove ogni sconfitto trova due occhi in cui è scritta una storia che conosce già: la sua. I luoghi da cui non salpano navi sono quelli in cui attraccano i velieri pirata.

“A bordo di un veliero pirata arriverò da te, e vedremo allora se continuerai ad inseguire il vello d’oro… E’ tempo di un tocco umano e, se sei perso nei tuoi blues d’America Latina, ti accompagnerò in una salsa d’oltreoceano”.

Così dicendo Altea inizia a ballare una salsa in stile cubano, con riflessi portoricani. Tre passi di alternato, una pausa, ancora tre passi. La musica batte tempi dispari, con la sua metrica legata al magico numero tre, del resto triplice era anche Ecate, fanciulla, donna e anziana; il numero tre serve sempre a tenere il tempo... Uno, due, tre, poi pausa; durante la pausa Altea immagina la grassa rana con l’enfisema… Non è per niente un rospo da trasformare in principe anzi, se venisse baciato, forse si trasformerebbe in un tele-venditore di pentole, su canali sperduti dettati dal tempo televisivo. E’ proprio vero… Il diavolo fa le pentole, ma dimentica spesso i coperchi… Mentre la sacerdotessa di Ecate si rivolgeva ad Altea, il Minotauro era lì, dolcemente perso in quell’immagine di teatro antico… Il teatro, luogo in cui un personaggio può prendere vita nel corpo dell’attore, oppure morire di una rappresentazione forzata, distante dall’opera in sé…

Il Minotauro scoprì così l’ home theatre e l’utopia pirandelliana…

Se solo l’opera potesse rappresentarsi da sé… Il gigante, guardando le mani di Medea, ricordò il sangue sacrificato in suo nome e, citando un Pirandello eternamente giovane ed eversivo, afferma: “Stasera si recita a soggetto”…

Altea e Demetrio sono lì, non più personaggi, non più maschera di sé… In ogni evento si rivela qualcosa di sconosciuto che mostra il suo volto da dietro la maschera priva di razionalità e, se l'uomo vorrà davvero colpire, dovrà colpire quella maschera... Altea scende da una nave pirata che l’ ha condotta in terra straniera. Vede in lontananza le luci al neon di un night immerso nel deserto e sa quanto sia necessario quella notte il coraggio di una carezza, la propria guancia fredda e bianca vicina a quella di un Demetrio dal capo stanco, che cerca la catarsi, mentre cala il sipario, in una notte complice, in cui le mani si cercano, incapaci di incontrarsi, incapaci di fermarsi sulla pelle dell’altro.

Vorrebbero le pietre e la malta con cui costruire un labirinto in cui perdersi, conoscendo però la strada, un posto in cui lasciare la porta socchiusa, nella libertà di andare e tornare, o semplicemente nel perenne viaggiare, con la consapevolezza di un rifugio che esisterà sempre, riposto lì, in carezze che non hanno data, né tempo, se non quello eterno e lento di una musica che arriva dallo stomaco, che fa male solo finché non la suoni, un pezzo che sia anello di congiunzione tra il country ed il rock graffiante di un’armonica, in cui sputare dentro l’anima. Altea aspetta che Demetrio posi il capo stanco sulle sue ginocchia, addormentandosi in un sonno lieve, con il respiro leggero, un respiro più chiaro delle parole. Avvolti da Morfeo i loro corpi tremano ancora, perché solo chi trema senza vergogna può salvare il Minotauro.

Quella creatura di Nervi e Potere dovrà tornare a desiderare il sangue e a vivere d’istinto. E’ sulla forca dell’istinto che verrà immolata la paura di vivere. La paura troverà la morte all’alba di un giorno nuovo, in cui l’istinto non sarà più barattato dal genere umano in cambio di un silenzio di gomma, il silenzio di un coma cui sarebbe preferibile l’eutanasia.

Altea si addormenta e distrattamente scivola tra le braccia di Demetrio, braccia di cui non si sente prigioniera ma che stanno lì a respingere Tanathos, lasciando che la sua anima sia concessa solo a Hypnosis. Nei sogni di uno scrittore ubriaco, un Malcolm Lowry dallo sguardo solido, le ricorda che il tempo scorre in fretta ma lei scuote la testa... PENSA al fisico Albert ed alla sua Mileva, persi in quella relatività che spacca gli orologi del mondo: grazie alla quale esiste sempre un inizio, ancora da scrivere, magari fatto proprio di quel respiro più chiaro delle parole, tenerezza non più celata.

Demetrio stava sognando di Ismene, epitome di speme e libertà, del suo desiderio imprigionato in un mondo di dolore, rinunce e demoni ammalati di satiriasi che impazzavano incontrollati nelle stanza del Potere. Tramavano ormai da tempo per impossessarsi dell’ultimo trono Libero dalla tirannia. Minosse, re di Creta, pregò Poseidone di inviargli un toro, come simbolo dell'apprezzamento degli dei verso di lui in qualità di sovrano: una preghiera che presto si sarebbe tramutata in una maledizione.

Continua…

Nessun commento:

Posta un commento